ENGLISH VERSION AVAILABLE ON SECOND HALF OF THE PAGE.
Parole di Alice Martinelli
Foto: Samuel Confortola
Cammino su un sentiero intagliato nel fianco della montagna. L’erba di questo autunno inoltrato, gialla e bruciata dal freddo, si alterna a macchie di neve crostosa, nei punti dove il sole non arriva più.
Guardo in basso, e vedo Livigno adagiato nella valle, stranamente tranquillo. “Ehi, Piccolo Tibet!” mi viene voglia di gridare, perché dall’alto della montagna sembra davvero di essere sul “Tetto del mondo”.
Sì, ok, le Alpi non sono l’Himalaya, e l’Europa non è l’Asia, chiaro.
Assodate queste certezze, inizio a pensare ai punti che hanno in comune questo luogo che si snoda ai miei piedi e il lontano Tibet.
Dunque, Livigno è circondata da montagne che per millenni l’hanno isolata dal resto del mondo, esattamente come la catena dell’Himalaya ha fatto con lo sconfinato altopiano tibetano. Erano tutti contadini e pastori, qui: le brevi estati nei pascoli, i lunghi inverni nelle case fumose. Le montagne erano guardate con rispetto e su ogni promontorio si piantava una croce come protezione, perché la religione e le preghiere scandivano i ritmi della vita. Nel dialetto locale ci sono almeno sette aggettivi diversi per raccontare la neve, nel caffè si metteva il vino caldo e un pezzetto di burro, la lana pungente vestiva tutti, estate e inverno.
Poi penso al Tibet e alla sua natura estrema. La gente lì vive ad un’altitudine media di 4000 metri, perdincibacco. La vita e la cultura sono intrise di una religiosità profonda che coinvolge ogni cosa, dagli animali alle montagne. Penso alle collane di burro di yak, alle coperte di lana e alla neve spessa metri e metri.
Beh, dai, punti di contatto con il Tibet ce n’erano eccome, nel passato.
E oggi?
Mi siedo su un cespuglio e, osservando le montagne contro il cielo terso, mi sembra di udire un’eco di voce lontana. La avverto anche quando nevica fitto, e quando migliaia di fiori gialli dondolano nel vento fra l’erba alta. La percepisco nelle guance rosse dei bambini, nella temperatura che precipita, nel suono sordo di una valanga, in un gregge di pecore fra i pascoli di settembre.
Sì, si può ancora sentire la voce del Piccolo Tibet, ogni tanto. E vorrei, con tutto il cuore, che ci tenga ancora compagnia, almeno per un altro po’.
TUTTE LE FOTO PRESENTI QUI SOPRA SONO STATE SCATTATE AL @MUS! MUSEO DI LIVIGNO E TREPALLE.
ENGLISH
I walk on a path carved into the side of the mountain. The yellow autumn grass, burnt by the freezing temperatures, is surrounded by patches of snow and ice, in the places where the sun doesn’t shine.
I look down, and see Livigno in the valley below, strangely quiet. It seems appropriate to shout “Hei, Small Tibet!”, because from the top of the mountain it really does seem to be the ‘top of the world’.
Yeah, sure, clearly the alps are not the Himalayas, and Europe is not Asia.
Taking this into consideration, I begin to think what this place has so in common with the far away land of Tibet.
Livigno is surrounded by mountains that, for centuries, has isolated it from the rest of the world, exactly what the Himalayan range did with the Tibetan plateau. Everybody was a farmer or a Shepheard here: spending short summers in the pastures, and long winters in smoky houses. The mountains where respected, and on every peak, a cross would be placed for protection, because religion and prayer softened the repetitive rhythm of life in the mountains. In the local dialect there are 7 different adjectives used in reference to snow, in coffee they used to put warm wine and butter and itchy wool clothes were won by all, summer or winter.
Then I think of Tibet and how extreme nature is there. People there live at an average altitude of 4000m! Life and culture are intertwined with a deep religious faith that encapsulated everything, from animals to mountains. I think of yak butter, wool blankets and the meters upon meters of snowfall.
Yeah, sure, on the past there where many similarities between Livigno and Tibet..
What about today?
I sit by a bush, observing the mountains and the crystal-clear sky, and apear to hear an echo of a faraway voice. I also hear it during heavy snowfall, and when thousands of yellow flowers stand amongst the high grass. I feel it in the red cheeks of the children, and in the freezing temperatures, in the sound of an avalanche and in a flock of sheep in the green pastures of September.
Yes, every so often, you can still hear the voice of the “Small Tibet”. And i wish, with all my heart, that she can still stay with us, at least for a little while longer.